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Santi dell' 8 Ottobre

Il mio Santo > I Santi di Ottobre

*Santa Benedetta di Origny-Sur-Oise - Martire (8 ottobre)

I suoi Atti formano un racconto favoloso, simile alla passio di Santa Saturnina, festeggiata il 20 maggio.
La più antica traslazione delle reliquie avrebbe avuto luogo nel 665.
Altre ne sarebbero seguite nell'876-878 e nel 1231.
La festa, che cade l'8 ottobre, è passata da Usuardo al Martirologio Romano, dove è confuso con il nome di "Laon", la città in cui visse Benedetta, con quello di Lione.
Il Nuovo Martirologio Romano non è più presente.
Le sue reliquie si trovano a Origny-sur-Oise, nella diocesi di Reims.
(Autore: Gilbert Bataille - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Benedetta di Origny-sur-Oise, pregate per noi.

*Sant'Evodio di Rouen - Vescovo (8 ottobre)

V sec.
Martirologio Romano: A Rouen nella Gallia lugdunense, ora in Francia, Sant’Evodio, vescovo.
La lista episcopale di Rouen, di buona qualità, lo classifica nono: il suo episcopato è da collocarsi intorno al 420-30.
La sua Vita, scritta assai tardivamente, non merita molto credito: basti dire che essa lo fa nascere al tempo del re Clotario I, che regnò dal 511 al 561.
Evodio sarebbe morto in Andelys e sarebbe stato inumato a Rouen; al tempo delle invasioni normanne (secolo IX) le sue reliquie furono trasportate a Braine (diocesi di Soissons).
Nel 1130 esse passarono ai Premostratensi, che fondarono a Braine una badia, durata fino alla Rivoluzione del 1789; nel 1874 Braine rimise alla cattedrale di Rouen un frammento del corpo di Evodio.
La sua festa fu inizialmente celebrata l'8 ottobre, ritenuto giorno della sua morte: poi l'occorrenza di altre feste la fece fissare in altri giorni dello stesso mese (10, 12, 21).
(Autore: Paul Viard - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Evodio di Rouen, pregate per noi.

*San Felice di Como - Vescovo (8 ottobre)
IV sec.

Martirologio Romano: A Como, San Felice, vescovo, che, ordinato da Sant’Ambrogio da Milano, resse per primo la Chiesa di questa città.
Liturgia, archeologia, storia attestano che Felice fu il primo vescovo di Como. La notizia è confermata anche dagli ultimi versi dell'antica iscrizione incisa sull'urna delle reliquie dei protomartiri comensi (Carpoforo, Essanto, Cassio, Licinio, Secondo e Severo), già trascritta dal vescovo F. Niguarda alla fine del secolo XVI, nella sua Visita Pastorale, nella descrizione della basilica di san Carpoforo:
EXTAT ET HIC FELIX, DIVINUS DUCTUS HABENIS
VERBUM DIVINUM STUDUIT QUI DICERE PRIMUS
COMI; NAMQUE BONUS PRIMUS FUIT ILLE PATRONUS
IN COELIS FELIX; MERITO FUIT NOMINE FELIX.

Il primo documento che presenti Felice è una lettera di sant'Ambrogio di Milano, dalla quale si rileva che l'opera di recente evangelizzazione del protovescovo, sebbene avesse determinato la conversione di parecchie persone, richiedeva indispensabile e costante collaborazione di alcuni cooperatori: «So bene che non ti manca il lavoro nella vigna del Signore, specialmente perché sono con te pochi operai, di quelli che ci possono aiutare; ma questo è lamento vecchio e troppo noto a noi: la mano di Dio però non si è raccorciata; essa ti aiuterà nel bisogno e ti manderà nuovi operai per la raccolta del suo grano.
Io ringrazio assai il Signore e mi felicito cordialmente con te, sentendo come parecchi di questi cittadini di Como abbiano già accettato la fede cattolica.
Colui che ti ha favorito nella conversione di queste anime, ti favorirà anche di ministri necessari al tuo bisogno».
Dal testo integrale della lettera, che è senza data, risulta che Felice godeva della familiarità e della predilezione paterna di Sant'Ambrogio, il quale gli aveva conferito la consacrazione episcopale la domenica 1° novembre, quasi certamente del 386, e lo aveva inviato a Lodi per la consacrazione della basilica dei SS. Apostoli, edificata da san Bassiano, vescovo di quella città, il quale bramava la presenza del protovescovo comense.
L'origine di Felice rimane ignota e le opinioni in proposito sono diverse. Più verosimile è quella che vede nel protovescovo un «signore comasco» (dominus Vallis Cumanae), al quale Ambrogio commise l'evangelizzazione della città e del municipio.
In un'altra lettera, di squisito sapore familiare, comunemente ascritta all’anno 387, Ambrogio ringrazia Felice del dono di un cesto di tartufi, ma anche si lamenta perché troppo raramente gli rende visita.
Secondo un'antica tradizione, riferita dal Tatti, Felice avrebbe eretto sull'aprica falda del colle Baradello la prima chiesa cristiana di Como (derivandola dalla trasformazione di un tempio dedicato a Mercurio), in onore dei Santi Carpoforo e compagni martiri, ed in essa seppellì i loro corpi. Più tardi, ad opera del re Liutprando, su quella area sorse l’attuale basilica carpoforiana.
La tradizione ha tramandato come suo dies natalis l’8 ottobre, anche attualmente suo giorno liturgico.
Fu sepolto nella primitiva chiesa di san Carpoforo e successivamente nell'ampliata basilica omonima, finché, nel 1932, il suo corpo, ricomposto in artistica urna, fu trasferito nella nuova chiesa parrocchiale di santa Brigida, dove il suo culto è sempre vivo, e collocato sotto la mensa dell'altare principale.
(Autore: Pietro Gini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Felice di Como, pregate per noi.

*Beato Giovanni Adams, Roberto Dibdale e Giovanni Lowe - Martiri (8 ottobre)
Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, Beati Giovanni Adams, Roberto Dibdale e Giovanni Lowe, sacerdoti e martiri, che, condannati a morte a Tyburn per avere esercitato in luoghi diversi il loro ministero per il popolo cattolico, sotto il regno di Elisabetta I, pervennero tra atroci supplizi al regno celeste.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beati Giovanni Adams, Roberto Dibdale e Giovanni Lowe, pregate per noi.

*San Grato di Chalon-sur-Saone - Vescovo (8 ottobre)

sec. VII

San Grato è il tredicesimo vescovo della diocesi soppressa di Chalon-sur-Saône. Nella cronotassi dei vescovi è stato inserito dopo Gelionio (o Gedberino) e prima di Desiderato.
La sede vescovile all’epoca era a Chalon, città in cui fungeva da cattedrale la chiesa di San Vincenzo.
La diocesi è documentata per la prima volta verso la metà del IV secolo, con il vescovo Donaziano, la cui attribuzione alla sede di Chalon è talvolta contestata.
Chalon fu sede di ben dodici concili tra il 470 e il 1073.
Tra questi si ricordano in particolare: il concilio svoltosi intorno al 647, dove furono promulgati una ventina di canoni sulla disciplina ecclesiastica.
Di San Grato non sappiamo praticamente nulla.
Ci son solo due attestazioni sulla sua esistenza quale vescovo di Chalon-sur-Saône.
La prima quando viene ricordata la sua presenza al concilio dell’episcopato franco tenutosi nella cattedrale di Chalon il 24 ottobre di un anno tra il 647 e il 653 (oggi gli studiosi propendono per il 650).
La seconda quando il suo nome compare in un diploma concesso da re Clodoveo II, all’assemblea di Clichy, il 22 giugno 654, in favore dell’abbazia di Saint-Denis.
La sua festa ricorre l’8 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Grato di Chalon-sur-Saone, pregate per noi.

*Beato Josè Ruano Lòpez - Sacerdote e Martire (8 ottobre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Almería, Spagna, 6 maggio 1888 – Rioja, Spagna, 8 ottobre 1936

José Ruano López nacque ad Almería, nell’omonima provincia e diocesi, il 6 maggio 1888. Fu ordinato sacerdote il 18 maggio 1916.
Era parroco della parrocchia di Benahadux quando morì in odio alla fede cattolica l’8 ottobre 1936 a Rioja, in provincia di Almería.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Josè Ruano Lòpez, pregate per noi.

*Beato Marzio - Eremita in Umbria (8 ottobre)

Eremita vissuto nel XIII secolo in Umbria; notizie brevi sulla sua vita ci vengono tramandate da alcuni scrittori quasi contemporanei del Beato, come il minorita Odorico da Forlì, che lo cita nella sua “Storia” dalle origini del mondo all’anno 1330.
Marzio nacque nel 1210, a Pieve di Compresseto, frazione di Gualdo Tadino, diocesi di Nocera Umbra da una famiglia semplice del popolo; fece per un certo tempo il muratore e nel tempo libero si dedicava all’assistenza degli ammalati e soccorrendo i bisognosi.
Aveva tre fratelli Silvestro (Salvetto), Leonardo e Filippo che divenne sacerdote; giunto ai 31 anni, abbandonò il mondo imitato dai fratelli e da altri; devotissimo di San Francesco d’Assisi, che era morto una quindicina di anni addietro e che aveva rivoluzionato con la sua riforma di povertà evangelica, tutta la Regione Umbra, Marzio si ritirò in un romitorio presso Gualdo Tadino, abbandonato dai
francescani.
Indossò l’abito dei Terziari Francescani e per 60 anni, si dedicò ad una vita di intensa unione con Dio, in una condizione di austerità e povertà eremitica.
Edificò con la parola e con l’esempio la popolazione dei dintorni, ottenendo pure conversioni strepitose; nei suoi ultimi anni divenne cieco, infermità che sopportò con ammirabile pazienza; morì in estrema povertà, vero "povero evangelico", l’8 ottobre 1301 a 91 anni.
Alla notizia della sua morte accorse una folla di fedeli che fu testimone di numerosi prodigi, aumentando così la sua fama di santità; gli abitanti di Gualdo, eressero a poca distanza dalla città, una chiesa detta poi di San Marzio, dove il beato venne sepolto sotto l’altare.
La chiesa si deteriorò col tempo e il vescovo di Nocera Umbra nel 1607, fece trasportare il corpo del Beato Marzio, nel tempio di San Rocco fuori Gualdo. Il culto che gli è stato da sempre tributato non risulta però confermato ufficialmente.
Il Martirologio Francescano lo celebra l’8 ottobre, insieme agli altri tre fratelli, di cui però non esiste culto.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Marzio, pregate per noi.

*Sante Palazia e Laurenzia - Martiri di Ancona (8 ottobre)

Gli Atti di queste due martiri, trasmessi da un antico manoscritto anconitano, ora perduto, e da un altro della Biblioteca Vallicelliana di Roma, contengono senza dubbio molti elementi leggendari, desunti dalle passiones di Santa Cristina, Santa Barbara e Santa Vittoria, e pertanto non sono stimati attendibili dalla moderna critica agiografica.
Nondimeno è possibile ritenere probabile, in conformità di tradizioni e antichi monumenti liturgici e iconografici, che, native di Ancona, Palazia e Laurenzia siano state relegate a Fermo, ivi abbiano
subito il martirio, forse all'epoca di Diocleziano, e che in seguito le loro spoglie siano state traslate ad Ancona, loro città d'origine.
Il loro culto è ancora diffuso in varie località dell'antico Piceno (Fermo, Osimo, Camerino, ecc.).
In Ancona il nome di Palazia è invocato in antichi libri liturgici e la sua figura appare in lastre gradite del sec. XI.
Più tardi sorsero in suo onore una chiesa e un monastero; l'iconografia la rappresentò spesso insieme agli altri santi locali, e talvolta con la sua nutrice Laurenzia.
La raffigurazione più nota è quella del Guercino, che si ispira ad alcuni episodi della passio.
I resti di queste martiri, a quanto sembra, conservarono a lungo in un'arca marmorea presso la cattedrale e quindi nella chiesa dedicata a Santa Palazia; dopo la ricognizione del 1775, furono raccolti in una piccola urna di bronzo, lavoro di imitazione berniniana, donata alla cattedrale dal Papa Benedetto XIV, già vescovo di Ancona.
La loro festa si celebra l'8 ottobre.
(Autore: Mario Natalucci – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sante Palazia e Laurenzia, pregate per noi.

*Santa Pelagia - Penitente (8 ottobre)

Fu una giovane martire di Antiochia, vittima della persecuzione di Diocleziano. Pelagia, quindicenne, testimoniò in modo insolito la sua fedeltà a Cristo: quando i soldati dell'imperatore si recarono alla sua dimora per portarla davanti al tribunale che l'avrebbe sicuramente condannata perché cristiana, Pelagia domandò loro di permetterle di mutarsi d'abito.
Avuto il permesso, salì al piano superiore e ben sapendo a quale trattamento indegno sarebbe stato esposto il suo corpo, si uccise gettandosi dalla finestra.
San Giovanni Crisostomo, involontariamente, ha oscurato la fama di questa Pelagia, raccontando la storia di una ballerina di Antiochia dallo stesso nome, che la gente chiamava Margherita, cioè perla preziosa, per la rara bellezza del suo volto e per i ricchi ornamenti del suo corpo. Bellezza da cui lo stesso vescovo Nonno trasse un insegnamento di tipo spirituale.
Le stesse parole del pastore portarono questa Pelagia alla conversione e al battesimo. Si recò poi a piedi a Gerusalemme dove visse in una grotta sul Monte degli Ulivi per il resto dei suoi anni. (Avvenire)
Etimologia: Pelagia = del mare, marino, dal latino
Martirologio Romano: Ad Antiochia in Siria, Santa Pelagia, vergine e Martire, che San Giovanni Crisostomo esaltò con grandi lodi.
Il Martirologio Romano ricorda quattro sante con questo nome, ma si tratta di un caso, non raro, di sdoppiamento, anzi di doppio sdoppiamento, perché delle due donne con questo nome una sola sarebbe la Santa autentica.
Sembra che la notorietà di una penitente, della quale parla S. Giovanni Crisostomo in uno dei suoi sermoni, abbia oscurato il nome e la vicenda di una giovane martire di Antiochia di nome Pelagia, vittima della persecuzione di Diocleziano.
La fanciulla, quindicenne, testimoniò in modo insolito la sua fedeltà a Cristo: quando i soldati dell'imperatore si recarono alla sua dimora per tradurla davanti al tribunale che l'avrebbe sicuramente condannata perché cristiana, Pelagia domandò loro di permetterle di mutarsi d'abito.
Avuto il permesso, salì al piano superiore e ben sapendo a quale trattamento indegno sarebbe stato esposto il suo corpo, per presentarsi incontaminata al cospetto dello sposo divino si gettò dalla finestra, andando a sfracellarsi al suolo.
La donna, di cui parla San Giovanni Crisostomo, era una ballerina di Antiochia, che la gente chiamava Margherita, cioè perla preziosa, per la rara bellezza del suo volto e per i ricchi ornamenti del suo corpo, così appariscenti da distrarre lo stesso vescovo della città (il non identificato Nonno), mentre si recava in processione al sinodo.
Il buon vescovo, dopo un attimo di smarrimento, si ricompose e trovò il modo di trarre un utile insegnamento morale da quella distraente apparizione: se una donna - commentò - si rende così
bella per compiacere a un uomo mortale, come dovremmo adornare noi la nostra anima destinata al Dio eterno?
Quella donna fu toccata dalla grazia ascoltando occasionalmente le parole del vescovo. Andò poi a prostrarsi ai suoi piedi e ottenne il battesimo. Mutò quindi i preziosi abiti con la tunica del penitente. Per far perdere le sue tracce, si travestì da uomo e, lasciata nottetempo la città di Antiochia, si recò a piedi fino a Gerusalemme, dove visse i restanti anni della sua vita chiusa in una grotta sul monte degli ulivi, celandosi sotto il nome maschile di Pelagio.
Scoperta la sua vera identità dopo la morte, ebbe col nome di Pelagia la devozione di tutti i cristiani.
Quali delle due Pelagie commemora oggi il calendario cristiano? La giovinetta vergine e martire o la penitente?
Poiché la Chiesa primitiva riservava un culto speciale alla memoria dei martiri, possiamo ritenere che la Santa onorata in questo giorno sia la giovinetta di Antiochia.
(Autore: Piero Bargellini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Pelagia, pregate per noi.

*San Pietro di Siviglia - Martire (8 ottobre)

Di San Pietro martire di Siviglia non sappiamo nulla.
Il suo nome è stato citato nel Martirologio del monaco benedettino Usuardo, il più famoso documento medioevale del suo genere, che ne fissava la festa nel giorno 8 ottobre.
“Item civitate Hispali, sancti Petri martyris”, è la frase con la quale si decise che Pietro di Siviglia era degno degli onori dell’altare.
Questa indicazione sulla santità di Pietro, venne riportata anche in altri martirologi e successivamente in quello romano.
San Pietro di Siviglia, a partire dal diciassettesimo secolo venne commemorato nei calendari liturgici di Siviglia.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Pietro di Siviglia, pregate per noi.

*Santa Ragenfreda (Ragenfrida) - Badessa (8 ottobre)

Martirologio Romano:
A Denain nell’Hainault, nell’odierna Francia, Santa Ragenfrida, badessa, che costruì con i suoi beni in questo luogo un monastero, di cui fu degna guida.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Ragenfreda, pregate per noi.

*Santa Reparata di Cesarea di Palestina - Martire (8 ottobre)

Cesarea, Palestina, sec. III
La prima testimonianza del culto di santa Reparata risale al IX secolo quando nel «Martirologio di Beda» compare per la prima volta il suo nome all'8 ottobre.
Tratta da questo testo la «Passio» della Santa ebbe subito molte recensioni, che ci sono pervenute da diverse zone dell'Occidente. La devozione si diffonde in Italia in maniera particolare a Firenze, Atri, Napoli e Chieti.
Secondo il «Martirologio Romano» il martirio di Santa Reparata avvenne a Cesarea di Palestina sotto l'imperatore Decio a causa del suo rifiuto di sacrificare agli idoli e «fu sottoposta a diverse specie di torture.
Fu infine messa a morte con un colpo di clava.
Si vide la sua anima uscire dal corpo e salire al cielo sotto forma di colomba». A parte questo riferimento alle persecuzioni del 250-251 non vi sono altre notizie sulla vita della santa.
Nell'arte è stata rappresentata in poche ma importantissime opere, i cui autori sono Arnolfo di Cambio, Andrea Pisano, Domenico Passignano; opere eseguite tutte a Firenze. (Avvenire)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Commemorazione di Santa Reparata, venerata in diversi luoghi come vergine e martire.
Non si trova traccia del culto di s. Reparata prima della metà del secolo IX, quando nel ‘Martirologio di Beda’, compare per la prima volta il suo nome all’8 ottobre, questo manoscritto era proveniente dall’abbazia di Lorsch, nella regione di Würzburg (si tratta dell’attuale ‘Palatino Latino 833’ della Biblioteca Vaticana).
Ma la sua popolarità dovette subito diffondersi, visto il gran numero di recensioni della sua ‘Passio’ che ci sono pervenute da diverse zone dell’Occidente medioevale.
Particolarmente in Italia Santa Reparata gode di grande fama e devozione, come a Firenze, Atri, Napoli e Chieti.
Il "Martirologio Romano" scrive all’8 ottobre “A Cesarea di Palestina, il martirio di Santa Reparata vergine e martire; poiché rifiutava di sacrificare agli idoli, sotto l’imperatore Decio, fu sottoposta a diverse specie di torture e fu infine messa a morte con un colpo di clava. Si vide la sua anima uscire dal corpo e salire al cielo sotto forma di colomba”.
A parte questo, non vi sono altre notizie, nemmeno da parte di Eusebio di Cesarea, che non ignorava i tormenti inflitti ai cristiani, durante la breve persecuzione di Decio (250-251) e che Santa Reparata sarebbe stata martire nella sua città episcopale, avrebbe dovuto saperlo.
È stata poi nel tempo confusa con altre sante martiri da parte degli studiosi; ad ogni modo essa è stata rappresentata nell’arte in poche ma importantissime opere, i cui autori sono Arnolfo di Cambio, Andrea Pisano, Domenico Passignano; opere eseguite tutte a Firenze.
Questa celebre santa palestinese, ebbe specie nel Medioevo in tutto l’Occidente un diffuso culto, in particolare a Chieti, Napoli, Atri e Firenze, quindi in Italia Centrale; ciò fa supporre che ci sia stato un culto anche a Lucca.
Poi come succedeva spesso, la martire sarà stata ritenuta originaria del luogo dove era venerata.
Si pensi che a Chieti si è ritenuto che le reliquie della santa martire fossero proprio lì. Grandi artisti fiorentini l’hanno raffigurata in celebri opere a Firenze, che non è tanto lontana da Lucca.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Reparata di Cesarea di Palestina, pregate per noi.

*San Semeia - Profeta (8 ottobre)

† 953 a.C.
Compì la sua missione, sotto Roboamo, primo re di Giuda, dopo la scissione delle dieci tribù settentrionali. Semeia dissuase Roboamo dalla guerra contro di esse (I Reg. 12, 22 sgg.).
Più tardi, preannunziò al re che Iahweh l’abbandonava in potere del faraone Sesac, perché egli aveva abbandonato la sua legge; quindi, iniziato il castigo, promise il perdono e la salvezza di Gerusalemme (II Par. 12, 1-15).
Semeia scrisse una storia del regno di Roboamo, andata perduta. Morì verso il 953 a. C. È commemorato soltanto in alcuni Menei bizantini all’8 gennaio.
(Autore: Francesco Spadafora - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Semeia, pregate per noi.

*Santa Taisa (Taide) - Penitente (8 ottobre)

Sec. III
Nella letteratura pagana era nota la figura di una meretrice di nome Taide, che compare in una commedia di Terenzio. Anche Dante la cita, non certo per elogio, nel suo Inferno, ma tra gli adulatori, immersa nello sterco di Malebolge.
Quasi per bilanciare la figura della peccatrice pagana è sorta, nel vivace verziere dell'agiografia medievale, la leggenda della Santa Taide cristiana, peccatrice anch'ella, ma penitente e redenta.
Sembra quasi che la pietà cristiana abbia dato un seguito alla storia dell'antica Taide, completandola e coronandola in senso spirituale e in maniera edificante.
Il risultato appare così come una suggestiva "moralità", come si chiamavano le rappresentazioni allegoriche e didascaliche del Medioevo, che ha per oggetto la rinunzia al peccato e soprattutto l'esaltazione della penitenza.
La leggenda di Santa Taide segue lo stesso schema di quelle, ancora più celebri ' di Santa Maria
Egiziaca e di Santa Pelagia, e di altre donne passate dal vizio più sfrenato alla penitenza più dura. I particolari del racconto sono però sempre diversi e sempre pittoreschi, con sfumature impreviste e significative. Vere e proprie "leggende", cioè composizioni " da leggere ", con piacere sempre nuovo e curiosità mai delusa, anche quando sia noto il tema e palese l'intenzione edificante.
Della leggenda di Taide esistono testi, abbastanza antichi, greci, siriaci e latini. Roswita, Abbadessa di Gandersheim, e Marbordio, Vescovo di Rennes, la ridussero a dramma, per le scene medievali. E più che dagli storici, è stata prediletta dagli scrittori, sian essi devoti agiografi come il Beato Jacopo da Varagine, o moderni letterati estetizzanti, come Anatole France.
Un Santo anacoreta, che vien detto Bessarione, oppure Serapione, oppure Giovanni il Nano, ma, più spesso, ha il nome di San Paffluzio, saputo dello scandalo di Taide, giunse alla casa della cortigiana e chiese d'esser ricevuto nella più segreta delle sue segrete stanze. Riconosciutolo per un monaco, la donna lo schernì: "Se è di Dio che hai paura, in nessun luogo potrai nasconderti ai suoi occhi!".
Allora Pafnuzio abbandonò la finzione e parlò con Santa fermezza: "Tu sai dunque che esiste un Dio? Perché allora sei la causa della perdita di tante anime?".
Taide cadde in ginocchio, chiedendo tre ore di tempo per liberarsi dalla donna che era stata fino ad allora. In quelle tre ore, fece un gran fuoco, sulla piazza, dei preziosi doni dei suoi visitatori, delle vesti procaci e dei monili vistosi.
Tre anni di penitenza, di preghiera e di contrizione in un monastero, resero l'anima di Taide peccatrice più candida di una colomba.
Infatti, nel deserto, San Paolo, discepolo di Sant'Antonio Abate, vide nel cielo un magnifico letto custodito da tre vergini biancovestite: la Paura dell'inferno, la Vergogna per il peccato e la Passione di giustizia. Paolo credette che si trattasse del premio sperato per il vecchissimo Patriarca Sant'Antonio, ma una voce dal cielo lo dissuase.
Si trattava dei premio di Taide, ormai perdonata.
Pafnuzio, informato di ciò, corse al monastero e disse alla donna di uscire pure dalla cella oscura e maleodorante dove la sua penitenza era fiorita con tanto rigoglio da cancellare il ricordo del male passato.
Taide però non si mosse. Seguitò a pregare per i suoi peccati, anche se ormai scontati. Quindici giorni dopo era morta. La meretrice egiziana veniva accolta così nel letto dell'eterna gloria, custodito dalle tre Vergini biancovestite.
(Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - Santa Taisa, pregate per noi.

*Sant'Ugo Canefri da Genova - Religioso dell'Ordine di Malta (8 ottobre)
Alessandria, 1168 - Genova, 1223
Cappellano dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme "i Cavalieri di Malta", Ugo visse tra il XII e il XIII secolo e resse il complesso di San Giovanni di Pré, conosciuto come la Commenda di San Giovanni di Pré, a Genova, proprio davanti al porto. Qui sorge tuttora la chiesa di San Giovanni di Prè, dove Ugo venne sepolto intorno al 1230. La chiesa inferiore dell'antico e importante edificio sacro è a lui dedicata.
Di spirito umile, Ugo compì diversi miracoli legati all'acqua. Due di essi simili addirittura a quelli compiuti da Mosè e Gesù: fece scaturire infatti l'acqua da una roccia (per consentire alle lavandaie di un ospedale di lavare la biancheria dei malati) e tramutò il liquido in vino. E in un'occasione salvò una nave in pericolo al largo della città ligure. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Genova, Sant’Ugo, religioso, che, dopo aver prestato a lungo servizio come soldato in Terra Santa, rifulse per bontà e carità verso gli indigenti come maestro della Commenda dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme in questa città.
Sant'Ugo fu indubbiamente il primo Santo che si possa ricollegare cronologicamente alla città, non a caso la sua nascita, che per altro non è certo, è fatta risalire dagli storici esattamente all’anno di nascita della città, 1168.
La famiglia nobilissima dei conti Canefri dall'antico Gamondio intervenne alla fondazione di Alessandria circa nell'anno 1168. L'importanza di tale famiglia è ricordata nel Cartario alessandrino.
Specialmente dal doc. XXII vol. 1. pag. 32 e 33, steso dal notaio del sacro palazzo Guglielmo e datato “aput Ecclesiam Sancti Arndreae de Gamondio 31 ottobre 1109”, da cui conosciamo la più antica genealogia dei Canefri, la quale ci indica il capostipite di essi in quel Conte Adolfo Manfredo, che aveva sposato la contessa Maria, figlia del re Adalberto dei marchesi Anscaridi d'Ivrea, fondatrice di Santa Maria della Corte in Gamondio e già defunta nell'anno 1005.
Questo conte Adolfo è indicato come bisavolo del conte Ottone il quale col consenso di sua moglie contessa Maria e di suo fratello conte Baudolino dona tutti i suoi crediti alla chiesa di Sant'Andrea di Gamondio. Sappiamo poi da tale atto notarile che tanto l'Adolfo quanto i suoi discendenti professavano «ex regia stirpe sue» legge longobarda, dichiarazioni ripetute parecchie altre volte in altri documenti relativi  ai Canefri. Il che varrebbe a provare la lontana loro discendenza dagli ultimi re di quella nazione.
Però la maggior gloria di tale famiglia consiste non tanto nello splendore dei suoi antenati quanto nella  manifesta e sincera vita religiosa di azione cattolica, si direbbe oggi, dei suoi membri.
La famiglia del Santo
Di Sant'Ugo si conosce la data precisa della morte avvenuta in Genova l’8 ottobre 1233, ma non quella della nascita, avvenuta in Alessandria (per comune opinione degli storici) negli inizi della sua fondazione cioè circa nell'anno 1168.
Suo padre fu Arnoldo Canefri, figlio di Nicola e di Agnese, e nipote  di quel certo Ottone, di cui si  è detto, che nel 1109 donava tutti i suoi crediti alla Chiesa di Sant'Andrea di Gamondio.
Sua madre fu Valentina Fieschi, figlia del Conte Ugo di Lavagna, e sorella di quel  Sinibaldo Fieschi che fu Papa col nome di Innocenzo IV, e del Conte Alberto da cui discese poi Santa Caterina Fieschi Adorno di Genova. Ma non essendoci la presenza di una Valentina Fieschi negli alberi genealogici di questa famiglia in Liguria, forse  è più verosimile che il cognome di «Fieschi» le sia derivato invece dal feudo allora chiamato in latino, «Frisconaria» (successivamente «Frissonaria», e «Fresonara»), che in quell'epoca apparteneva alla famiglia Canefri; tanto più che in quei tempi - prima dell’introduzione dei cognomi - questi ultimi quasi sempre si toglievano dalle località d'origine delle stesse persone, oppure dai feudi che possedevano.
Guelfi del Comune
L'annalista Ghilini all'anno 1225  nell'indicare il partito a cui appartenevano le principali famiglie alessandrine pone i Canefri tra i guelfi del comune nel quartiere di Gamondio.
Questo in contraddizione ad una popolare convinzione, che vuole i Canefri fra le fila dei Ghibellini.
Ma i Canefri quasi certamente erano Guelfi e ciò è confermato dal fatto che questi compaiono sempre in prima linea, investiti di alte magistrature civili ed ecclesiastiche della repubblica alessandrina. Tutti i documenti del Cartario ne fanno ampia fede.
Un Pietro console di Gamondio tra il 1152 ed il 1167; un altro Pietro console di Alessandria tra il 1177 ed il 1200: un terzo Pietro tra il 1204 ed il 1208 pure console di Alessandria; un Oberto ed un Anselmo pure consoli tra il 1208 ed il 1227; tre cosiddetti cardinali cioè costituiti nelle prime dignità ecclesiastiche  cioè Pietro nel 1062, Ranieri ed Ottone nel 1153, a ed Ugo zio paterno di Sant'Ugo prevosto e dignità del Capitolo fra il 1178 ed il 1201; un Canefro priore e procuratore del celebre monastero  cistercense dei Tiglieto tra il 1189 a ed il 1199; ed una Giacoma fondatrice del monastero femminile di Santa Maria di Bannio in Sezzadio nel 1232; senza tener conto dei molti altri consiglieri ed anziani della credenza.                  
Dei primi anni dell'adolescenza e della gioventù di S.ant'Ugo poco si sa, e, si può solo arguire ragionevolmente, dalla nobiltà della sua famiglia e dal valore fieramente belligero ed insieme profondamente religioso portato fino all'entusiasmo in tutto il medio evo, e soprattutto nei secoli delle Crociate, che Ugo ebbe una educazione di grande fede e rigore, morale e religioso.
La terza Crociata
Dopo il grido unanime: “Dio lo vuole” al Concilio di Clermont nel 1095 sull'invito alla prima Crociata bandita dal Papa Urbano II; seguì l'invito di San Bernardo per ordine di Papa  Eugenio III, in cui presero la Croce  l'Imperatore Corrado III il Re di Francia Luigi VII ed il Conte Amedeo III di Savoia con molti Principi e Baroni; si giunse alla terza.
La terza Crociata fu resa necessaria dalle pessime notizie che venivano dall'oriente; della disfatta dei Cristiani a Tiberiade e della presa di Gerusalemme operata da Saladino nell'anno 1187. Fu un grido di desolazione per tutta la Cristianità.
Papa Clemente III appena eletto in Pisa il 16 dicembre di quell'anno 1187 non tardò a bandire dal pulpito la Crociata e decise i Pisani ad armare e spedire una prima flotta di 50 navi al comando dell'Arcivescovo Ubaldo contro Saladino. Impose a tutti, laici ed ecclesiastici la cosiddetta decima saladina per sopperire alle spese di guerra; e per mezzo di Guglielmo Arcivescovo di Tiro suo legato, sollecitò il favore di tutti i patentati cristiani.
Tra i principali presero la Croce l'imperatore Federico Barbarossa col suo secondogenito Federico Duca di Svevia, Filippo Augusto re di Francia, Riccardo Cuor di Leone re d'Inghilterra e Corrado figlio di Guglielmo IV detto il “Vecchio” Marchese di Monferrato, con molti altri Baroni.
Gl’inviti di San Bernardo
Questa crociata non ebbe grandi successi, e condusse ad una tregua di tre anni alla condizione che restasse in mano ai Cristiani tutta la costa di Palestina da Giaffa a Tiro e con la facoltà ai Cavalieri di San Giovanni e del Tempio di poter rimanere nei loro ospedali per accogliervi ed assistervi i pellegrini nei Luoghi Santi. Anche Alessandria fu invitata dai messi papali a favorire questa santa impresa; ed essa rispose generosamente fornendo il soldo ad un assai buon numero di cittadini; e molti nobili e ricchi delle principali famiglie come Guasco, Trotti, Pozzi, Ghilini, Lanzavecchia, Del Pero, Inviziati, Gambarini, Cermelli ed alcuni altri presero la Croce, ed a loro spese si unirono alle milizie assoldate dal Comune.
E’ molto probabile - per non dire quasi certo - che fra questi nobili non nominati dall’annalista Ghilini vi fosse pure Sant’Ugo. Egli aveva allora circa vent’anni, età più che mai facile agli entusiasmi.
Doveva essere ancora viva nella sua città e nella sua famiglia la memoria e la risonanza della voce potente e vittoriosa di San Bernardo, passato 40 anni prima per le terre alessandrine e della sua dimora nel vicino monastero cistercense di Santa Maria del Tiglieto alle sorgenti dell’Orba, nel suo viaggio a Milano per riconcigliarla con la Santa Sede, a Genova per sopire le sue rivalità e discordie con Pisa, onde unire in un fascio tutte le forze nella Crociata precedente.
Le relazioni d’amicizia che legavano i Canefri ai Monaci Cistercensi del Tiglieto appaiono più volte confermate nei documenti del Cartario alessandrino
Cavaliere di San Giovanni
Parecchi Canefri si incontrarono a patrocinare come testimoni o come giudici a decidere le liti in favore dei Cistercensi del Tiglieto: un monaco Dominus Canefrus fu Priore ed amministratore del vastissimo patrimonio del monastero; lo stesso Arnoldo padre del Santo, lasciò un legato al medesimo.
E’ facilmente credibile che il giovane Sant'Ugo abbia preso imbarco a Genova, dov’erano i Fieschi parenti di sua madre, con gli altri crociati alessandrini, col Marchese Corrado del Monferrato, con il console vercellese Guala Bicchieri che comandò le truppe italiane sotto Acri e morì templare, e con le numerose milizie francesi sotto il comando di Filippo Augusto.
Non sappiamo se il Santo abbia preso parte a qualche fatto d’armi, solo è noto che egli come nobile di nascita entrò fra i Cavalieri di San Giovanni, mosso forse dalla vista di qualche disordine morale fra i suoi compagni d’arme e dalle lacrimevoli discordie dei capi, da cui seguì l'esito poco fortunato di questa e di altre crociate.
Gli ordini religiosi militari, incarnavano più perfettamente il pensiero della Chiesa e lo  attuavano con maggior fermezza e costanza ponendo la spada in difesa della Cristianità in mano a quei nobili Cavalieri che avevano rinunciato a tutto servendo  Dio in  guerra ed in pace o, secondo la frase di San Bernardo «più mansueti degli agnelli, e più coraggiosi dei leoni». Infatti la preghiera e l'assistenza agli infermi, che essi chiamavano «nostri signori» era la  principale occupazione loro in tempo di pace; “ma al primo squillo di guerra impugnavano la spada e correvano impavidi alla pugna da non parere più quei dolci ed amabili confortatori dei poveri infermi”.
Reduce dalla Terza Crociata in cui si distinse per la sua dedizione alla Croce, Sant'Ugo fu destinato a Genova.    
E' fatto storico indubitato che nella Precettoria o Commenda di San Giovanni di Prè e nell’annesso suo Spedale di Genova si rese ammirabile per eroismo di virtù e per i miracoli insigni Sant'Ugo, ivi mandato senza dubbio dai Superiori dell'Ordine da Gerusalemme in forza del suo voto di obbedienza.
Ottone Ghilini, alessandrino, Arcivescovo di Genova dal 1203 al 1239, che era già stato eletto di Alessandria dal 1176 al 1185 e poi consacrato Vescovo di Bobbio dal 1185 a al 1203, finalmente traslato all'Arcivescovato di Genova, per mandato del Papa Gregorio IX aveva istituito il processo canonico sulle o virtù e miracoli del Santo, e aveva ridotto in iscritto le risultanze di tale processo, che si conservavano compendiate nella Commenda di Genova, e che furono trasmesse in copia allo storico dell’ordine Gerosolitano Giacomo Bosio dal Comm. milanese Fra Catalano Casati, e dal Comm. genovese Fra Annibale Minoli, e vennero dallo stesso Bosio inserite nella 2^ Edizione della sua Storia uscita in Roma nel 1621.
E' questa la fonte autorevole che ci fornisce le notizie più sicure di Sant'Ugo e che riportiamo letteralmente.
Una biografia
«Sant'Ugone era di corpo piccolo e magro; vestiva pelli, portava sopra le nude carni il cilizio, e dormiva sopra una tavola, abbasso all'ospedale, in quella parte che guardava la marina. In questi ed altri esercizi si occupava egli servendo a' poveri con carità grandissima, dando egli con amor grande le cose necessarie, e talora anche con profondissima umiltà lavando  loro i piedi con le proprie mani, e andava a seppellire i morti.
Era Frate dello Spedale di Genova, portando la croce esteriormente nel petto, come interiormente l'aveva scolpita nel cuore. Cingevasi una cintura di ferro sulle carni; digiunava tutto l'anno in cibi quadragesimali, e per trattare più aspramente il corpo suo, non mangiava cosa alcuna cotta, in quaresima.
«Quando diceva l'uffizio, mostrava gran fervore; e quando stava a udire la Messa, fu più volte sollevato da terra, in modo tale che mentre era ancor vivo era onorato da tutti e universalmente tenuto per Santo».
Passa poi il Bosio a narrare i miracoli operati dal Santo in vita e dopo morte e cioè la fonte prodigiosamente scaturita dalla roccia per un segno di croce di Sant'Ugo, e la nave pericolante salvata dalla burrasca, e la liberazione di un indemoniato, e l'acqua mutata in vino ed altri, tutti ricevuti sotto giuramento dall'Arc. Ottone e molti altri riferiti dallo storico Bosio.
Proprio sotto il bastione dell'Acquaverde, munito di fortificazioni,  per respingere le scorrerie nemiche, si affondava il fossato di Bregarà,  e poichè era luogo tranquillo ed ombroso Sant'Ugo lo aveva scelto per romitorio. Una grotta scavata in un grosso scoglio che sosteneva un angolo del muraglione offriva alle meditazioni del Santo un silenzioso raccoglimento, e il torrentello che scendeva da Oregina modulava un'orchestrazione lenta a quella immensa quiete.
Cosi il Santo pregava, e solo a tratti, il vento recava fino a lui, il lamento delle lavandaie, che poco più giù sciacquavano i panni dei malati dell'Ospedale a della Commenda, dove lui era Governatore, e si accapigliavano perchè l'acqua era poca ed ognuna l'avrebbe voluta tutta per se.  
E un giorno che lo incontrarono, glielo dissero. Non avevano paura le donne del Governatore, che, già, preferiva fare l'infermiere che stare a badare alle carte degli ospiti e la cui carità era tanta che una certa voce di santità era già corsa in giro e persino nelle campagne della Polcevera e del Bisagno la gente del contado sussurrava il suo nome con venerazione.
Questa fama s'era anche aumentata un giorno di mareggiata furiosa, che le donne si facevano il segno della croce, pensando ai marinai lontani in mezzo alle onde, e i cavalloni buttandosi contro le torri di San Tomaso pareva volessero addirittura sradicarle. E c'era, un poco al largo, un veliero disalberato che il vento precipitava contro gli scogli e le ondate spazzavano da poppa a prua, mentre i naviganti rifugiati sul cassero avevano intonato le preghiere della buona mor­te. D'un tratto sul torrione del molo era apparso il piccolo Cavaliere, aveva disteso le mani sul mare, co­me a benedirlo ed immediatamente la sarabanda della risacca si era quetata, l'acqua era ridiventata tranquilla il veliero aveva potuto approdare, fra l'entusiasmo dei pescatori subito accorsi in gran numero e le lagrime delle donne meravigliate e commosse.
Quando dunque il Governatore accolse le lamentele delle lavandaie, non frappose tempo, ma si ritirò in preghiera e quindi, scelto un grosso sasso, si inginocchiò, facendosi il segno della croce, e subito per una fessura una sorgente scaturì fresca e violenta e bastò non solo per la­vare i panni, ma anche per tutte le necessità degli abitanti del borgo.
Come restassero le brave donne per il nuovo prodigio gli storici non raccontano, ma alcuni secoli dopo, documenti diretti testimoniano che le acque continuavano a scorrere vivissime e limpidissime, grate al gusto e salutari per molte infermità. L'Appennino brullo secco e sassoso non aveva potuto resistere alla preghiera del Santo.
Quantunque qualche storico abbia cercato di provare che Sant'Ugo ha avuto i natali nella stessa nostra città, o nella vicina borgata di Recco, ed altri scrittori perfino lo abbiano fatto nascere in
Francia, resta oramai chiarito che il nostro santo eroe nacque in Alessandria dal nobile Arnoldo Canefri e da Valentina Fieschi, contemporaneamente alla fondazione della città avvenuta per impulso della vittoriosa «Lega Lombarda» come baluardo contro le prepotenti mire dell'Imperatore di Germania Federico Barbarossa, il quale pretendeva togliere a tutta l'Italia le sue libertà nazionali.
La nascita di Sant'Ugo risale quindi approssimativamente all'anno 1168, epoca in cui sono state gettate le fondamenta della nascente Città contrastante l'invasione straniera, che ad onore ed in riconoscenza al grande Pontefice Alessandro III indomito Capo morale  e sostenitore della Le­ga, ebbe in un primo tempo il nome di «Alexandria Statiellorum» colla aggiunta, di quest'ultima indicazione per ricordare i popoli Stazielli recatisi in tempi remotissimi dalla Liguria ad abitare in quella parte del Piemonte ove venne poi edificata la nuova città, e che contribuirono a popolarla con numerose Famiglie imigratevi dai paesi vicini, ed in modo speciale da Gamondio, chiamato poi nel secolo XIV Castellazzo Bormida, primitiva residenza della nobile famiglia Canefri.
Ben si può affermare con tutta certezza che Sant'Ugo fu il primo fiore di Alessandria, che ci ricorda, col giuramento di Pontida e la vittoria di Legnano, una delle più belle pagine dell’Italia medioevale, ed indubbiamente gli edificanti e gloriosi avvenimenti di cui fu feconda la nascente città, influirono decisivamente sulla educazione e gli ispirarono quel genio guerriero in difesa della cattolica fede, disposto all'eroica pratica di religiose virtù, che lo resero santo in vita e dopo morte, nonchè una delle più fulgide glorie della patria nostra.
(Fonte: www.diocesialessandria.it)

Giaculatoria - Sant'Ugo Canefri da Genova, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (8 ottobre)

*San
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